Danni cagionati da animali selvatici: chi risarcisce?

La Cassazione chiarisce definitivamente che il soggetto cui rivolgere la domanda risarcitoria è la Regione (Cass. civ., Sez. III, 20.04.2020, n. 7969).
Sono purtroppo in notevole aumento i casi in cui i cittadini si trovano a fronteggiare danni, anche ingenti, provocati dalla fauna selvatica non sottoposta ai dovuti controlli: si pensi, in particolare, agli incidenti stradali causati da cinghiali che transitano sulla carreggiata, oppure ancora ai danni causati al raccolto in agricoltura.
In passato, il danneggiato era messo in una condizione di estrema difficoltà nell'ottenere il risarcimento poichè non era semplice individuare il soggetto cui rivolgere la pretesa risarcitoria e poi bisognava dimostrare in concreto il comportamento colposo ascrivibile allo stesso.
Secondo la normativa di riferimento (L. 27 dicembre 1977, n. 968) la fauna selvatica (appartenente a determinate specie protette) costituisce patrimonio indisponibile dello Stato, tutelata nell'interesse della comunità nazionale e le relative funzioni normative e amministrative sono state assegnate alle Regioni, anche in virtù dell'art. 117 Cost. Tuttavia, secondo alcune decisioni più datate della Cassazione, la responsabilità per i danni causati dagli animali selvatici non era sempre imputabile alla Regione ma doveva in realtà essere imputata all'ente, sia esso Regione, Provincia, Ente Parco, Federazione o Associazione, ecc., a cui erano stati concretamente affidati, nel singolo caso, anche in attuazione della L. n. 157 del 1992, i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata.
Tale stato di cose, come già detto, penalizzava moltissimo il soggetto privato danneggiato dalla condotta di animali selvatici, trovandosi questi costretto, non solo a dover individuare e provare una specifica condotta colposa dell'ente convenuto, ma anche a districarsi in un ipertrofico e confuso sovrapporsi di competenze statali, regionali, provinciali e di enti vari (enti parchi, enti gestori di strade e oasi protette, aziende faunistico venatorie, ecc.), i cui rapporti interni non erano sempre agevolmente ricostruibili.
Negli ultimi anni, però, si è assistito a un revirement della giurisprudenza che ha finalmente conferito certezza alla materia: con la sentenza in premessa, innanzitutto, è stato chiarito che il fondamento della responsabilità per i danni cagionati dalla fauna selvatica è da individuarsi nell'art. 2052 c.c. che fonda la responsabilità a titolo oggettivo sulla proprietà dell'animale o sul suo utilizzo per trarne utilità e il cui ambito applicativo non è da intendersi limitato ai soli animali domestici.
Avendo l'ordinamento stabilito (con legge dello Stato) che il diritto di proprietà in relazione ad alcune specie di animali selvatici è effettivamente configurabile in capo allo stesso Stato (quale suo patrimonio indisponibile) e, soprattutto, essendo tale regime di proprietà espressamente disposto in funzione della tutela generale dell'ambiente e dell'ecosistema, che avviene anche mediante l'attribuzione alle Regioni di specifiche competenze normative e amministrative, nonchè di indirizzo, coordinamento e controllo (non escluso il potere di sostituzione) sugli enti minori titolari di più circoscritte funzioni amministrative, si viene così a determinare una situazione che è equiparabile (nell'ambito del diritto pubblico) a quella della "utilizzazione" degli animali da parte di un soggetto diverso dal loro proprietario, proprio secondo lo schema dell'art. 2052 c.c.
In altri termini, la funzione di tutela, gestione e controllo del patrimonio faunistico appartenente alle specie protette operata dalle Regioni costituisce nella sostanza una "utilizzazione", in senso pubblicistico, di tale patrimonio, di cui è formalmente titolare lo Stato, al fine di trarne una utilità collettiva pubblica per l'ambiente e l'ecosistema.
Nondimeno, sarà naturalmente il danneggiato a dover allegare e dimostrare che il danno è stato causato dall'animale selvatico. Ciò comporta, evidentemente, che sull'attore graverà l'onere dimostrare la dinamica del sinistro, nonchè il nesso causale tra la condotta dell'animale e l'evento dannoso subito, oltre che l'appartenenza dell'animale stesso ad una delle specie oggetto della tutela di cui alla L. n. 157 del 1992 e/o comunque che si tratti di animale selvatico rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato. D'altro canto, la Regione dovrà dimostrare che il fatto sia avvenuto per "caso fortuito", ossia che la condotta dell'animale si sia posta del tutto al di fuori della sua sfera di possibile controllo, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile del danno, e come tale sia stata dotata di efficacia causale esclusiva nella produzione dell'evento lesivo, cioè che si sia trattato di una condotta che non era ragionevolmente prevedibile e/o che comunque non era evitabile, anche mediante l'adozione delle più adeguate e diligenti misure di gestione e controllo della fauna (e di connessa protezione e tutela dell'incolumità dei privati).
Laddove peraltro, il danno si assuma essere stato causato dalla condotta negligente di un diverso ente, cui spettava il compito (trattandosi di funzioni di sua diretta titolarità ovvero delegate) di porre in essere le misure adeguate di protezione nello specifico caso omesse e che avrebbero impedito il danno, la stessa Regione potrà rivalersi nei confronti di detto ente e, naturalmente, potrà anche, laddove lo ritenga opportuno, chiamarlo in causa nello stesso giudizio avanzato nei suoi confronti dal danneggiato, onde esercitare la rivalsa (in tal caso l'onere di dimostrare l'assunto della effettiva responsabilità del diverso ente spetterà alla Regione).
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