Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto: la controversa questione dell'applicabilità dell'istituto nei processi innanzi al giudice di pace

16.03.2018

1. Premessa; 2. La questione controversa; 3. Gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità; 4. La soluzione delle Sezioni Unite.

1. Premessa

L'art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 16 marzo 2015, n. 28 ha introdotto l'art. 131-bis  del Codice Penale, rubricato "Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto", prevedendo, dunque, una specifica causa di non punibilità nei casi in cui "per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'art. 133, primo comma, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale". 

Tale istituto, tuttavia, non trova applicazione in maniera indiscriminata ma solo quando si procede per reati per i quali è prevista la pena detentiva  non superiore ai cinque anni ovvero la pena pecuniaria. Inoltre, l'offesa non è considerata di particolare tenuità quando l'autore ha agito per motivi abietti o futili, con crudeltà, ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima (anche riferite all'età) o, infine, quando dalla condotta sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona. In ultimo, è previsto che il comportamento è presunto come abituale - e pertanto, non trova applicazione l'istituti de quo - quando l'agente è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero ha commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, è di particolare tenuità, nonché quando si tratta di reati che hanno ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.

2. La questione controversa

Se rispetto all'istituto dell'irrilevanza del fatto previsto nel rito minorile e disciplinato, nello specifico, dall'art. 27 del D.P.R. n. 448/1988 [1] si è da subito escluso problemi di coordinamento - attesa l'assoluta specialità del settore minorile - lo stesso non si è potuto certo dire rispetto all'analogo istituto della tenuità del fatto previsto nel processo innanzi al giudice di pace, precisamente all'art. 34 del D.Lgs. n. 274/2000 [2].

Fin da subito, invero, i commentatori della riforma individuarono nella mancanza di una disciplina di raccordo con l'art. 34 D.Lgs. n. 274/2000 , uno dei principali aspetti problematici del nuovo istituto [3], soprattutto, alla luce del fatto che nell'ambito dei reati "ordinari" si vennero a configurare di fatto due diverse forme di tenuità, con presupposti anche notevolmente difformi tra loro [4], la cui applicabilità dipendeva in sostanza solo dalla competenza per materia.

Da qui, l'insorgenza di un contrasto nella giurisprudenza di legittimità incentrato sull'applicabilità o meno dell'art. 131-bis c.p.  anche ai reati di competenza del giudice di pace, determinandosi - in tale ipotesi - un'abrogazione tacita dell'omologo istituto previsto dall'art. 34 D-Lgs. n. 274/2000.

3. Gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità

Fin dalle prime pronunce la giurisprudenza della Suprema Corte ha evidenziato, come orientamento largamente maggioritario, un indirizzo volto ad escludere l'applicabilità dell'art. 131-bis c.p. ai reati rientranti nella cognizione del giudice di pace.

Il comune denominatore di tali pronunce risiede nel fatto che, secondo i Giudici di Piazza Cavour, in ossequio al principio di specialità dettato dall'art. 16 c.p., la disciplina della tenuità del fatto introdotta dal legislatore del 2015 non potrebbe estendersi anche allo specifico e speciale ambito dei reati rientranti nella competenza per materia del giudice di pace, proprio perché rispetto a tali fattispecie troverebbe applicazione la previsione già contenuta all'art. 34 D.Lgs. 274/2000 [5].

La disciplina "speciale" e quella "ordinaria" sarebbero, inoltre, profondamente diverse e per tali versi difformi tra loro e, dunque, incompatibili. 

Innanzitutto, si è evidenziato come l'ambito applicativo dell'art. 34 D.Lgs. 274/2000 non conosca limitazioni edittali (potendo trovare applicazione all'intera gamma di fattispecie demandata alla cognizione del giudice di pace), mentre la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. riguarda solo i reati con pena pecuniaria o con pena detentiva entro i cinque anni. Ancora, per la declaratoria di improcedibilità ex art. 34 è necessaria una valutazione congiunta non solo dell'esiguità del danno o del pericolo, del grado di colpevolezza e dell'occasionalità del fatto, ma anche la sussistenza del pregiudizio che l'ulteriore corso del processo può recare alle esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute dell'indagato o dell'imputato. Quest'ultimo ambito valutativo delle esigenze individuali "in conflitto" con l'istanza punitiva manca del tutto, invece, nella causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. Totalmente differente è, poi, la considerazione della persona offesa nei due istituti. Nel processo innanzi al giudice di pace - proprio per la sua natura prettamente "conciliativa" - è dato alla persona offesa dal reato un ruolo attivo e quasi preminente, atteso che è richiesto una "non opposizione" della stessa a che il procedimento sia definito secondo questo istituto. Ruolo che non è affatto richiesto nella previsione dell'art. 131-bis c.p.

Altra differenza profonda tra i due istituti attiene alla loro disciplina processuale e, dunque, alla loro natura giuridica. L'art. 131-bis, data anche la sua collocazione sistematica e la sua qualificazione alla stregua di causa di non punibilità, è un istituto di natura sostanziale [6]. La tenuità del fatto ex art. 34 D.Lgs. 274/2000, invece, attiene alla procedibilità dell'azione penale ed è stata espressamente collocata dal legislatore nel Capo V, dedicato alle definizioni alternative del procedimento proprio per sottolinearne la natura processuale. Questa differenza di natura giuridica è ritenuta un'ulteriore argomentazione a sostegno della tesi dell'inapplicabilità dell'art. 131-bis c.p. ai reati rientranti nella competenza del giudice di pace [7], in ossequio al principio di specialità.

Altre argomentazioni a sostegno dell'orientamento maggioritario in commento, risultano da alcune pronunce giurisprudenziali che affermano che le due ipotesi di tenuità del fatto sono diverse e non coordinate tra loro per effetto di una precisa scelta del legislatore risultante dal fatto che, nonostante le sollecitazioni provenienti dalla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati di realizzare un raccordo tra le discipline, le stesse non sono state mai accolte. Pertanto, la scelta di non coordinare i rapporti tra i due istituti è stata presa in modo consapevole già durante la fase di progettazione dell'art. 131-bis c.p. [8].

Altra parte della giurisprudenza, nettamente minoritaria, ha ritenuto, tuttavia, che l'art. 131-bis c.p. avesse natura generale e che, pertanto, troverebbe applicazione anche ai reati di competenza del giudice di pace, non essendo a ciò ostativa la previsione di un istituto - similare ma totalmente differente quanto a presupposti e natura giuridica - previsto dall'art. 34 D.Lgs. 274/2000 [9].

In sostanza, l'indirizzo minoritario parte proprio dalle plurime difformità tra gli istituti in esame ma, invece di utilizzarle come punto di "distacco" dei due ambiti applicativi, le valorizza per desumere la presunta irrazionalità della mancata applicazione della disciplina più favorevole prevista dall'art. 131-bis c.p. al settore dei reati di competenza del giudice di pace che, per scelta legislativa, godono di una presunzione di minore gravità rispetto a quelli rimessi alla cognizione del "giudice ordinario".

Viepiù, secondo l'ultimo indirizzo giurisprudenziale, proprio le notevoli difformità tra i due istituti renderebbero del tutto impossibile l'applicazione dell'art. 16 c.p., in quanto le norme in parola non presuppongono la medesima situazione di fatto ma situazioni solo parzialmente convergenti. 

4. La soluzione delle Sezioni Unite

Il contrasto giurisprudenziale finora esaminato è stato risolto da una recentissima sentenza delle Sezioni Unite Penali, la n. 53683/2017 [10], che, privilegiando l'orientamento maggioritario già espresso dalle sezioni semplici, hanno affermato che la causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis c.p. non si applica ai reati di competenza del giudice di pace.

Innanzitutto, la Suprema Corte ha evidenziato la diversa ratio dei due istituti, specificando che la causa di non punibilità ex art. 131-bis persegue una finalità deflattiva , mentre l'analogo istituto previsto nel processo innanzi al giudice di pace si inserisce in un sistema autonomo ed ispirato principalmente alla composizione del conflitto tra autore del reato e vittima, proponendosi, dunque, una finalità conciliativa. Già questa diversità di ratio giustificatrice evidenzia una incompatibilità tra le due discipline. Invero, l'istituto di cui all'art. 131-bis c.p. configura una ipotesi di depenalizzazione in concreto che giustifica la mancata previsione, in capo alla persona offesa, di un "potere di veto" alla dichiarazione di non punibilità. Viceversa, il potere ostativo riconosciuto alla vittima dall'art. 34 D.Lgs. 274/2000 risulta funzionale proprio alla diversa finalità della composizione del conflitto tra imputato e persona offesa nel processo innanzi al giudice di pace.

Aggiungono le Sezioni Unite che il sistema delineato per il giudice di pace integra un "microcosmo punitivo" dotato di una propria ratio complessiva, con la conseguenza che non è consentito tentare di istituire una correlazione tra singole componenti del sistema processuale e sostanziale ordinario rispetto a quello previsto per i reati di competenza del giudice di pace, dovendosi valutare i singoli istituti in ragione del loro inserimento in un sistema diversamente strutturato.

 La Corte si è anche fatta carico di chiarire quale sia la disciplina applicabile nel caso in cui il reato di competenza del giudice di pace sia attratto per connessione dinanzi al giudice ordinario. In tali ipotesi, le Sezioni Unite hanno affermato che il giudice "diverso" sarà tenuto sì ad applicare l'art. 34 d.lgs. n. 274 del 2000 (come previsto dall'art. 63) ma ciò purché,  per il reato attraente, non risulti applicabile l'art.131-bis cod. pen. Nel qual caso quest'ultima norma opererà per tutti i reati giudicati, risultando in concreto non applicabile l'art. 34 d.lgs. n. 274 del 2000. 

[1] Art. 27 D.P.R. 448/1988 Sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto 1. Durante le indagini preliminari, se risulta la tenuità del fatto e l'occasionalità del comportamento, il pubblico ministero chiede al giudice sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto quando l'ulteriore corso del procedimento pregiudica le esigenze educative del minorenne. 2. Sulla richiesta il giudice provvede in camera di consiglio sentiti il minorenne e l'esercente la potestà dei genitori, nonché la persona offesa dal reato. Quando non accoglie la richiesta il giudice dispone con ordinanza la restituzione degli atti al pubblico ministero. 3. Contro la sentenza possono proporre appello il minorenne e il procuratore generale presso la corte di appello. La corte di appello decide con le forme previste dall'articolo 127 del codice di procedura penale e, se non conferma la sentenza, dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero. 4. Nell'udienza preliminare, nel giudizio direttissimo e nel giudizio immediato, il giudice pronuncia di ufficio sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, se ricorrono le condizioni previste dal comma 1.

[2] Art. 34 D.Lgs. n. 274/2000 Esclusione della procedibilita' nei casi di particolare tenuita' del fatto. 1. Il fatto e' di particolare tenuita' quando, rispetto all'interesse tutelato, l'esiguita' del danno o del pericolo che ne e' derivato, nonche' la sua occasionalita' e il grado della colpevolezza non giustificano l'esercizio dell'azione penale, tenuto conto altresi' del pregiudizio che l'ulteriore corso del procedimento puo' recare alle esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute della persona sottoposta ad indagini o dell'imputato. 2. Nel corso delle indagini preliminari, il giudice dichiara con decreto d'archiviazione non doversi procedere per la particolare tenuita' del fatto, solo se non risulta un interesse della persona offesa alla prosecuzione del procedimento. 3. Se e' stata esercitata l'azione penale, la particolare tenuita' del fatto puo' essere dichiarata con sentenza solo se l'imputato e la persona offesa non si oppongono.

[3] In fase di lavori preparatori, la Commissione Giustizia, in data 3 febbraio 2015, aveva indicato l'opportunità di prevedere un sistema di coordinamento tra gli istituti in esame, segnalazione non recepita dal legislatore delegato sul presupposto che difettasse una espressa indicazione in tal senso nella legge delega n. 67 del 2014.

[4] I due istituti presentano delle differenze sostanziali: l'uno costruito come declaratoria di non punibilità, l'altro come declaratoria di improcedibilità; l'uno subordinato alla non abitualità del comportamento, l'altro alla sua occasionalità; l'uno imperniato, oltre che sulla esiguità del danno o del pericolo, sulle modalità della condotta, l'altro sul grado di colpevolezza e sul rischio di pregiudizi per le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute della persona sottoposta a indagine o dell'imputato; l'uno caratterizzato da una mera interlocuzione di indagato e offeso nella procedura decisionale, l'altro basato su autentiche preclusioni legate all'interesse o alla volontà delle parti.

[5] Ex multis, Cass. Pen., Sez. 2, n. 25101 del 24/03/2016, Di Noia; Sez. 5, n. 55039 del 20/10/2016, Sawires, Rv. 268865; Sez. 5, n. 26854 del 01/06/2016, Ferrari, Rv. 268047; Sez. 1, n. 8736 del 25/11/2016, dep. 2017, Osayowa; Sez. 1, n. 39 del 2/12/2016, dep. 2017, Asllani; Sez. 1, n. 40 del 2/12/2016, dep. 2017, Cissie; Sez. 5, n. 1724 del 13/12/2016, dep. 2017, Pizzoccheri; Sez. 7, n. 21776 del 26/01/2017, Iannone.

[6] In questo filone, Cass. Pen., Sez. Un, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590.

[7] Così, Cass. Pen., Sez. F, n. 34672 del 06/08/2015, Cacioni, Rv. 264702; sia pur in estrema sintesi, sembra valorizzare il dato relativo alla natura processuale della definizione, ex art. 34 d.lgs. n. 274 del 2000, anche Sez. 5, n. 54173 del 28/11/2016, Piazza, Rv. 268754.

[8] Ex plurimis, Cass. Pen., Sez. F, n. 38876 del 20/08/2015, Morrealle, Rv. 264700.

[9] In tale direzione, Cass. Pen., Sez. 4, n. 40669 del 19/04/2016, Colangelo, Rv. 267709; analogamente, Cass. Pen., Sez. 5, n. 15579 del 13/01/2017, Bianchi, Rv. 269424.

[10] Cass. Pen.,  Sez. Un., n. 53683 del 22/06/2017, dep. 2017, Perini.

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