Finto avvocato falsifica mandato alle liti: nessun reato

19.02.2018

(Già pubblicato su "Altalex") Nota a Cassazione Penale, sez. V, sentenza 18.04.2017, n. 18657

La condotta dello "pseudo-avvocato" che falsifica sia la sottoscrizione di una procura alle liti, sia la firma di autentica di un avvocato della falsa sottoscrizione, integra gli estremi del delitto di falsità in scrittura privata (art. 485 c.p.), oggi depenalizzato.

Non è penalmente perseguibile, in relazione ai reati di falso di cui agli artt. 476 e ss. c.p., la condotta ingannevole del finto avvocato che appone sul mandato defensionale la firma falsa del cliente e la firma di autentica, anch'essa falsa, di un vero avvocato.

È quanto, in ultimo, stabilito dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza in commento.

IL CASO

All'imputato erano originariamente contestati: al Capo A) d'imputazione, i reati di cui agli artt. 81 cpv., 477-482 e 485 c.p., 61, n. 2) c.p.; al Capo B), il delitto di esercizio abusivo della professione ex art. 348 c.p.

Il Tribunale di Pordenone, con sentenza del 13.03.2014, derubricava il delitto di cui al capo A) ai sensi dell'art. 481 c.p., sussumendo, dunque, la condotta incriminata nella diversa fattispecie della falsità ideologica in certificati commessa da persona esercente un servizio di pubblica necessità (nella specie avvocato).

La decisione de qua, tuttavia, veniva parzialmente riformata ad opera della Corte di Appello di Trieste, la quale, con sentenza pronunciata in data 18.11.2015, riqualificava i fatti di causa alla stregua degli artt. 477-482 c.p. (falsità materiale in certificati e autorizzazioni amministrative commessa dal privato)

IL RICORSO DELL'IMPUTATO E LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE

Avverso la pronuncia di secondo grado, proponeva ricorso per cassazione l'imputato, deducendo due vizi: in primo luogo, lamentava la violazione del diritto di difesa, atteso che la Corte territoriale non avrebbe potuto operare una riqualificazione giuridica nei termini anzidetti e avrebbe, pertanto, dovuto annullare la sentenza impugnata ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 604 c.p.p., con tutti i provvedimenti conseguenti.

Con il secondo motivo di gravame, l'imputato eccepiva vizio motivazionale e travisamento della prova, in quanto il giudice di secondo grado avrebbe, erroneamente, attribuito all'azione dell'imputato valenza pubblica, trascurando che lo stesso fosse un mero privato che si spacciava per avvocato, che falsificava sia la firma del cliente sottoscrivente il mandato difensivo, sia la firma di autentica utilizzando il nome di un vero avvocato.

La Suprema Corte, con la sentenza in commento, dichiarava infondato il primo motivo d'impugnazione sulla scorta del principio normativo, sancito all'art. 521 c.p.p., che conferisce all'organo giudicante il potere di attribuire al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nel capo d'imputazione, purchè non si tratti, chiaramente, di diversità strutturale del fatto stesso (circostanza non ricorrente nel caso di specie).

Viceversa, la Corte di legittimità dichiarava fondato il secondo motivo di gravame alla luce delle considerazioni che seguono.

Innanzitutto, i Giudici di Piazza Cavour precisavano che, certamente, la falsa sottoscrizione di un mandato defensionale configurasse il reato di falso in scrittura privata ex art. 485 c.p.

Di poi, in ordine alla falsa autentica di firma, la Suprema Corte escludeva in primis la configurabilità del delitto di cui all'art. 477 c.p. (falsità materiale del pubblico ufficiale in certificati o autorizzazioni amministrative), in quanto, come costantemente sancito dalla stessa giurisprudenza di legittimità, la condotta della falsa attestazione dell'autenticità della sottoscrizione della procura ad litem - ricorrente nel caso di specie -integra gli estremi del reato di falso ideologico in certificati commesso da persona esercente un servizio di pubblica necessità (nella specie avvocato) ex art. 481 c.p. (ex plurimis, Cass. Pen. Sez. V, 09.03.2011, n. 15556; Cass. Pen., Sez. V, 28.04.2005, n. 22496; Cass. Pen., Sez. II, 26.11.2002, n. 3135).

Posto, dunque, che, secondo l'interpretazione anzidetta, la condotta di falsificazione dell'autentica di firma fosse da inquadrarsi nel delitto di cui all'art. 481 c.p. (e non in quello ex art. 477 c.p.), tuttavia, i giudici di legittimità dimostravano come anche il delitto di falsità ideologica commessa da un esercente un servizio di pubblica necessità non potesse trovare applicazione nel caso di specie. Invero, l'imputato non esercitava un servizio di pubblica necessità come richiesto dall'art. 481 c.p. (non possedendo il titolo di avvocato) e l'art. 482 c.p., che estende la punibilità ai privati di quelle condotte di falsificazione materiale descritte dagli artt. 476, 477 e 478 c.p., non richiama, affatto, l'art. 481 c.p.

Con la conseguente impossibilità, pertanto, di operare un'analoga estensione della punibilità per i fatti di cui all'art. 481 c.p. ove commessi da un semplice privato cittadino.

Dunque, sulla scorta dell'anzidetto ragionamento logico-interpretativo, gli Ermellini pervenivano alla conclusione secondo la quale l'azione posta in essere dall'imputato (falsificazione dell'apparente firma di autentica di un vero legale del falso mandato alle liti a firma apparente del cliente) configurava il delitto di falsità in scrittura privata ex art. 485 c.p.

Nondimeno, poiché il reato in parola è stato abrogato ad opera del D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, art. 1 e sostituito da un corrispondente illecito civile, i Giudici di Piazza Cavour - previa riqualificazione del reato di cui al Capo A) dell'imputazione ai sensi dell'art. 485 c.p. - annullavano la condanna con riferimento a detto capo d'imputazione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato e rinviavano ad altra Sezione della Corte di Appello di Trieste per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio in relazione al delitto di esercizio abusivo della professione di cui al Capo B) dell'imputazione, oggetto di autonomo capo della sentenza avverso il quale non era stata proposta impugnazione da parte dell'imputato.

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