Il decreto di sequestro (o di convalida del sequestro) probatorio del corpo del reato deve essere specificamente motivato quanto alla finalità in concreto perseguita per l'accertamento dei fatti:depositate le motivazioni della sentenza delle Sezioni Unite
Nota a Cass. Pen., Sez. Un., 19.04.2018 (ud.) - 27.07.2018 (dep.), n. 36072
Sono state depositate le motivazioni della sentenza n. 36072/2018 con la quale le Sezioni Unite Penali erano state chiamate a risolvere il seguente quesito giuridico: "Se, per le cose che costituiscono il corpo del reato, il decreto di sequestro probatorio possa essere motivato con formula sintetica ove la funzione probatoria del medesimo costituisca connotato ontologico ed immanente del compendio sequestrato, di immediata evidenza, desumibile dalla peculiare natura delle cose che lo compongono o debba, invece, a pena di nullità, essere comunque sorretto da idonea motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita, in concreto, per l'accertamento dei fatti" .
Avevamo già dato atto, in un precedente articolo del nostro blog (https://studiolegaleacetoprestera-ti.webnode.it/l/anche-il-decreto-di-sequestro-o-di-convalida-del-sequestro-probatorio-del-corpo-del-reato-deve-essere-congruamente-motivato-sotto-pena-di-nullita/), dell'esistenza di un contrasto giurisprudenziale in materia di motivazione del provvedimento di sequestro probatorio e di come, con la sentenza n. 5876 del 28.01.2004, le Sezioni Unite avessero già posto un principio di diritto nei seguenti termini: "Anche per le cose che costituiscono corpo di reato il decreto di sequestro a fini di prova deve essere sorretto, a pena di nullità, da idonea motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita, in concreto, per l'accertamento dei fatti". Nondimeno, nella giurisprudenza di merito e di legittimità si è continuato a dibattere se, quando ad essere posto in sequestro sia il corpo del reato, il decreto di (o la convalida del) sequestro probatorio debba essere motivato in maniera analitica quanto alla finalità in concreto perseguita per l'accertamento dei fatti, oppure questa "finalizzazione" sia in re ipsa.
In tale contesto interpretativo, la devoluzione alle Sezioni Unite del predetto quesito giuridico, si è resa necessaria in virtù del novellato disposto dell'art. 618, comma primo-bis, c.p.p. che stabilisce che "se una sezione della corte ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza, la decisione del ricorso".
La Suprema Corte, con la sentenza in commento, dopo aver operato un excursus sugli orientamenti giurisprudenziali formatisi nel tempo sull'istituto in questione, ha chiarito, in limine, che una corretta lettura dell'art. 253, comma 1, c.p.p. non può consentire, nell'ambito dell'onere motivazionale chiaramente espresso dalla norma, differenziazioni di sorta tra corpo del reato, da una parte e cose pertinenti al reato, dall'altra.
In primis è il dato letterale dell'art. 253 c.p.p. ad esprimere che il decreto di sequestro probatorio deve essere motivato e tale motivazione non può che riguardare - secondo gli Ermellini - la finalizzazione probatoria, attesa la natura di questa tipologia di sequestro, vocato - appunto - all'apprensione materiale delle cose necessarie per l'accertamento dei fatti di reato in contestazione.
In secondo luogo, è opportuno parallelamente tenere in conto il disposto dell'art. 262, comma primo, c.p.p., secondo cui "quando non è necessario mantenere il sequestro a fini di prova, le cose sequestrate sono restituite a chi ne abbia diritto prima della sentenza". Tale disposizione, certamente riferibile anche alle cose costituenti corpo del reato, consente di ribadire l'inconciliabilità con l'assunto secondo cui il fine probatorio sarebbe automaticamente e connaturalmente insito nel corpo del reato giacché, se così fosse, nessuna possibile restituzione potrebbe mai avvenire. Viepiù, se la non necessità del mantenimento in sequestro del corpo del reato a fini di prova vale a sequestro già operato, a maggior ragione - secondo la Corte - dovrebbe poter essere apprezzata nel momento iniziale di assoggettamento al vincolo. Apprezzamento che può esser reso possibile solo munendo il provvedimento di una congrua motivazione.
Ancora, si è osservato che solo valorizzando l'onere motivazionale sarà possibile tenere "sotto controllo" l'intervento penale quanto al rapporto con le libertà fondamentali e i beni costituzionalmente protetti (quali la proprietà e la libertà di iniziativa economica privata ex art. 42 Cost. e art. 1 del primo Protocollo addizionale alla CEDU), al fine di mantenere un provvedimento, comunque limitativo di un diritto fondamentale dell'individuo, entro i confini costituzionalmente e convenzionalmente prefissati ed assoggettarlo, così, al controllo di legalità. Inoltre, già da tempo, la Suprema Corte ha sancito l'estensione dei principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità previsti in materia di misure cautelari personali (art. 275 c.p.p.) anche a quelle reali (ex multis, Cass. Pen., Sez. V, n. 8152/2010) e, nella pronuncia in commento, le Sezioni Unite arrivano ad affermare che "non v'è ragione che un'analoga affermazione [...] non possa valere anche con riguardo al sequestro probatorio quale mezzo, invece, di ricerca della prova [...] Da ciò, dunque, deriva la particolare connotazione della motivazione del provvedimento he dovrà essere funzionale a garantire che le esigenze di accertamento del fatto non possano essere perseguite in altro modo, non limitativo del diritto di disporre del bene ed eventualmente idoneo financo ad esonerare dalla necessità di procedere al sequestro".
Ancora, i Giudici di Piazza Cavour hanno evidenziato la necessità di discostarsi da quegli indirizzi interpretativi che, sempre nell'ambito dello stesso genus dei corpi del reato, hanno formulato una distinzione tra cose che recherebbero in sé l'evidenza probatoria e cose che, invece, tale "autoevidenza" non conterrebbero, sicchè in relazione alla prima categoria l'Autorità Giudiziaria sarebbe esonerata dall'obbligo motivazionale stringente. Sul punto, le Sezioni Unite hanno chiarito che, al di là dell'oggettiva difficoltà di tracciare una linea di demarcazione tra le due "categorie" fondata su un elemento di variabile lettura (la c.d. autoevidenza), resta il fatto che il legislatore, contemplando all'art. 262 c.p.p. casi di non necessità del mantenimento in sequestro del corpo del reato, impone di tenere separati due aspetti che l'indirizzo in oggetto tende a confondere e a far coincidere, ossia la finalizzazione probatoria del bene e l'automatica apprensione dello stesso al processo.
Pertanto, alla luce delle considerazioni sinteticamente richiamate, le Sezioni Unite hanno espresso il seguente principio di diritto: "il decreto di sequestro (così come il decreto di convalida di sequestro) probatorio, anche ove abbia ad oggetto cose costituenti corpo di reato, deve contenere una specifica motivazione sulla finalità perseguita per l'accertamento dei fatti", precisando, tuttavia, che non è possibile stabilire a priori il grado o il "quantum" del compendio argomentativo del provvedimento idoneo a far ritenere adempiuto un siffatto obbligo e dovendo, comunque, tenere presente che, per quanto riguarda le sentenze, lo stesso legislatore ha stabilito che è idonea ad integrare il requisito una "concisa" esposizione dei motivi.
Per un approfondimento, si rimanda di seguito al testo integrale della sentenza in commento.