Il requisito della specificità dei motivi d'appello e il "monito" della Cassazione: come non redigere gravami inammissibili

23.07.2018

Nota a Cass. Pen., Sez. V, 25.05.2018 (ud.) - 20.07.2018 (dep.), n. 34504

In tema di specificità dei motivi di appello la Quinta Sezione della Corte di cassazione ha affermato, con riguardo al disposto di cui all'art. 581 cod. proc. pen. come sostituito dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, che tale requisito, previsto a pena di inammissibilità dell'impugnazione, è soddisfatto se l'atto individua il punto che intende devolvere alla cognizione del giudice di appello, enucleandolo con specifico riferimento alla motivazione della sentenza impugnata e precisando tanto i motivi di dissenso dalla decisione appellata che l'oggetto della diversa deliberazione sollecitata presso il giudice del gravame.


La sentenza in commento analizza la portata del requisito, oggetto di recente novella normativa, della specificità dei motivi d'appello. 

Il legislatore, infatti, con la legge n. 103/2017 ha riformato - tra gli altri - l'art. 581 c.p.p. che regola i requisiti formali dell'impugnazione, richiedendosi, a pena di inammissibilità, non solo la "specificità" dei motivi ma anche dell'enunciazione dei capi o dei punti della decisione ai quali si riferisce l'impugnazione, delle prove delle quali si deduce l'inesistenza, l'omessa assunzione o l'omessa o erronea valutazione, nonché delle richieste anche istruttorie. Parallelamente (ed inevitabilmente), la modifica normativa ha riguardato anche l'art. 546, comma primo, lett e), c.p.p. che statuisce che la sentenza deve contenere "la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata , con l'indicazione dei risultati acquisiti e dei criteri di valutazione della prova adottati e con l'enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie, con riguardo: 1) all'accertamento dei fatti e delle circostanze che si riferiscono all'imputazione e alla loro qualificazione giuridica; 2) alla punibilità e alla determinazione della pena, secondo le modalità stabilite dal comma 2 dell'art. 533, e della misura di sicurezza; 3) alla responsabilità civile derivante dal reato; 4) all'accertamento dei fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali"

La specificazione dei parametri costitutivi dell'apparato motivazionale della sentenza giustifica e fonda la "nuova" struttura dell'atto di appello, che dev'essere anch'esso specifico ed ancorato necessariamente all'atto impugnato. Di guisa che - scrivono gli Ermellini - "il giudizio di secondo grado non può (più) avere ad oggetto la mera ripetizione di valutazioni già compiute e la necessaria specificità comporta che l'appello viene a configurarsi come giudizio critico su punti specificamente dedotti, rappresentando una fase eventuale destinata alla individuazione di un errore della sentenza di primo grado, se esistente, con la conseguenza per cui, ove i motivi non siano idonei a rappresentare l'esistenza e l'incidenza dell'errore, l'atto di appello è destinato alla declaratoria di inammissibilità".

Già prima della novella del 2017, vi era stata una pronuncia delle Sezioni Unite  (n. 8825 del 27.10.2016 (ud.) - 22.02.2017 (dep.)) che, parificando l'appello al ricorso per cassazione quanto alla specificità dei motivi di censura, aveva sancito l'esigenza di una doppia determinatezza: intrinseca, con riferimento alla testuale specifica enunciazione delle doglianze ed estrinseca, riferibile al rapporto critico e puntuale tra ragioni della decisione e fondamento razionale delle correlative censure. 

Solo in tal modo, secondo la Suprema Corte, si attua appieno il principio tantum devolutum quantum appellatum e si scongiurano impugnazioni dilatorie o troppo generiche.

In ultimo, passaggio importante delle decisione in commento è quello attraverso il quale la Corte suggerisce, in linea teorica e generale, come assolvere all'onere della specificità dei motivi di gravame con riferimento all'indicazione dei capi e dei punti della sentenza impugnata, alle prove in relazione all'inesistenza, omessa ed erronea valutazione delle stesse, alle richieste principali e secondarie. Proprio a tale ultimo riguardo, nella pronuncia de qua, è specificato che, se rispetto alle richieste principali "la richiesta di assoluzione deve contenere l'esatta indicazione della formula in relazione alla quale viene prospettata l'esigenza di rivisitazione della sentenza di primo grado, le richieste secondarie vanno formulate in adeguato ordine logico, con la conseguenza che non sono più consentite eventuali richieste subordinate inserite nel corpo dei motivi che devono, invece, essere chiaramente ed analiticamente espresse con riguardo alle circostanze, al giudizio di bilanciamento, alla determinazione della pena, ai benefici della sospensione condizionale e della non menzione, alla conversione della pena detentiva, alla confisca e alle altre misure di sicurezza".

È possibile consultare il testo integrale della sentenza della Suprema Corte al link di seguito riportato.

È opportuno, inoltre, segnalare che proprio in vista della corretta osservanza ed applicazione degli artt. 546 e 581 c.p.p., come novellati dalla L. n. 103/2017, è stato siglato, in data 19.07.2018, un Protocollo d'intesa tra il CSM e il CNF in materia di "scrutinio preliminare delle impugnazioni, organizzazione del lavoro, chiarezza e sinteticità nella redazione egli atti e dei provvedimenti nei giudizi d'appello". Per quanto attiene all'ambito penale, il predetto documento contiene indicazioni sia con rifermento alla struttura delle sentenze di primo e secondo grado (art. 6.2), che alla struttura degli atti difensivi (art. 6.3). A quest'ultimo riguardo è precisato che "l'impugnazione deve dunque illustrare in maniera specifica e attraverso una critica mirata i singoli capi e punti della decisione che sono oggetto di censura e deve trarre dalla sentenza di primo grado gli spazi argomentativi della domanda volta ad ottenere una pronunzia corretta in diritto e in fatto. Per "capo" s'intende ciascuna decisione emessa relativamente ad uno dei reati attribuiti all'imputato. Se per ogni "capo" esiste una pluralità di "punti", essi vanno argomentati in relazione a quanto segue: accertamento del fatto, attribuzione di esso all'imputato, qualificazione giuridica, inesistenza di cause di esclusione della punibilità, colpevolezza e eventuali cause di esclusione della stessa (in base alla ripartizione classica del reato in fatto, antigiuridicità e colpevolezza) e, nel caso di condanna, trattamento sanzionatorio. Il trattamento sanzionatorio comprende l'accertamento della sussistenza delle circostanze aggravanti contestate e delle circostanze attenuanti riconosciute, il relativo giudizio di comparazione, la commisurazione della pena, la sospensione condizionale della stessa, le altre eventuali questioni, sostanziali (cause di esclusione della punibilità) o processuali (questioni di nullità di atti, di inutilizzabili di prove, etc.) dedotte dalle parti o rilevabili d'ufficio".

È di seguito riportato il testo del Protocollo d'intesa succitato, consultabile  con tutti i suoi allegati, al sito https://www.consiglionazionaleforense.it, sezione "protocolli".

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