Non occorre rinnovare l'istruzione dibattimentale se una sentenza di condanna viene ribaltata in assoluzione in appello

04.04.2018

Nota a Cass. Pen., Sez. Un., 21.12.2017 (ud.) - 03.04.2018 (dep.), n. 14800

In tema di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello, sono tornate le Sezioni Unite penali che hanno affermato il seguente principio di diritto: "Nell'ipotesi di riforma in senso assolutorio di una sentenza di condanna, il giudice d'appello non ha l'obbligo di rinnovare l'istruzione dibattimentale mediante l'esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive ai fini della condanna di primo grado. Tuttavia, il giudice d'appello (previa, ove occorra, rinnovazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva ai sensi dell'art. 603 cod. proc. pen. ) è tenuto ad offrire una motivazione puntuale e adeguata della sentenza assolutoria, dando una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata rispetto a quella del giudice di primo grado".

È un tema molto sentito quello della rinnovazione dell'istruzione dibattimentale ex art. 603 c.p.p., soprattutto da quando il giudice comunitario  con la sentenza del 2011 "Dan c/ Moldavia" ha sancito un principio destinato ad influenzare la giurisprudenza interna, prima, il legislatore, poi. Invero, a partire da quel momento storico si è formato un orientamento giurisprudenziale secondo il quale costituisce violazione dell'art. 6 CEDU condannare un imputato precedentemente assolto, senza previamente rinnovare l'istruttoria mediante l'acquisizione, in appello, della prova dichiarativa ritenuta decisiva nel precedente grado di giudizio (per un approfondimento sull'argomento leggi questo articolo: "https://studiolegaleacetoprestera-ti.webnode.it/l/focus-la-rinnovazione-dellistruzione-dibattimentale-nei-recenti-approdi-giurisprudenziali-e-legislativi/"). 

Orientamento, quest'ultimo, trasfuso nel novellato articolo 603, comma 3-bis, c.p.p., introdotto dalla Legge n. 103/2017 (c.d. "Riforma Orlando"), ai sensi del quale <<Nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale>>.

L'elevatissimo grado di attenzione che l'istituto in parola suscita da parte degli operatori del diritto è confermato, da ultimo, dalla pronuncia in commento con la quale la Suprema Corte a Sezioni Unite è stata chiamata a pronunciarsi sul quesito: "Se il giudice di appello, investito dell'impugnazione dell'imputato avverso la sentenza di condanna con cui si deduce l'erronea valutazione della prova dichiarativa, possa pervenire alla riforma della decisione impugnata, nel senso dell'assoluzione, senza procedere alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale mediante l'esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive ai fini della condanna di primo grado".

La necessità di cristallizzare un principio di diritto nella materia de qua nasce dalla circostanza di un potenziale contrasto giurisprudenziale tra l'orientamento della Seconda Sezione Penale emerso con la sentenza n. 41571 del 20.06.2017, Marchetta ed i principi affermati dalle Sezioni Unite nelle sentenze n. 27620 del 28.04.2016, Dasgupta e n. 18620 del 19.01.2017, Patalano, in merito alla necessità o meno rinnovare l'assunzione della prova dichiarativa in appello in caso di riforma in senso assolutorio della sentenza (di condanna) di  primo grado.

In particolare, con la sentenza n. 41571/2017 sopra menzionata, la Seconda Sezione ha affermato che l'obbligo di riassumere la prova dichiarativa in appello sussista anche nel caso in cui s'intenda riformare una sentenza di condanna; viceversa, per le Sezioni Unite l'obbligo della rinnovazione sussiste solo qualora si abbia a che fare con una sentenza assolutoria da "ribaltare" in appello.

La Suprema Corte, con la sentenza in commento ha precisato che il fulcro attorno al quale ruota la soluzione delle problematiche interpretative de quibus è ravvisabile nel rapporto intercorrente tra due principi cardine del sistema processuale penale italiano: il canone dell' "al di là di ogni ragionevole dubbio", cristallizzato nell'art. 533, comma 1, c.p.p. e il principio costituzionale della presunzione di innocenza. Mentre la sentenza assolutoria è pienamente in linea con il principio da ultimo richiamato, lo stesso non può dirsi in ordine alla sentenza di condanna che, viceversa, deve superare un vaglio intrinseco più severo. In altri termini, per la riforma di una sentenza assolutoria nel senso della colpevolezza dell'imputato non basta una mera diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito in primo grado e lì ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza dell'imputato, ma occorre una forza persuasiva superiore, tale da fare venire meno "ogni ragionevole dubbio". Viceversa, il ribaltamento della sentenza di condanna in senso assolutorio, risultando perfettamente in linea con la presunzione di innocenza, costituzionalmente garantita all'art. 27, non esige una rinnovazione della prova dichiarativa (fermo restando un dovere di "motivazione rafforzata").

Altro argomento a sostegno della tesi portata avanti dalle Sezioni Unite nella sentenza in commento, promana dal dato normativo: il comma 3-bis dell'art. 603 - introdotto dalla Legge "Orlando" - contempla l'obbligo di rinnovazione solo nell'ipotesi si appello proposto dal pubblico ministero avverso la sentenza assolutoria di primo grado per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa. 

Viene precisato, tuttavia, che si tratta di un obbligo non incondizionato per il giudice d'appello, in quanto il pubblico ministero è tenuto a rispettare i requisiti di specificità richiesti dall'art. 581 c.p.p., criticando gli errori commessi dal giudice di primo grado nella valutazione della prova dichiarativa e motivando in modo adeguato le proprie richieste, anche istruttorie, al secondo giudice.

Ne discende, dunque, che il giudice del gravame potrà anche non disporre una rinnovazione istruttoria generale ma circoscrivere la riassunzione alla fonte (o alle fonti) la cui dichiarazione sia oggetto di una specifica censura da parte del pubblico ministero.

Per un approfondimento, di seguito è scaricabile il testo integrale della sentenza in commento.


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